Come il rugby agisce dove lo sguardo non arriva

Giugno 26, 2020 0 Di Nadia Fagiolo

Se dicessimo agli allenatori che possono influire sulle abilità di lettura, scrittura, calcolo, sulle abilità logico-matematiche, sul linguaggio, sulla capacità di apprendimento dei bambini e dei ragazzi a scuola e nella vita futura, troveremmo una totale consapevolezza di ciò?

E se dicessimo loro che contribuiscono alla costruzione di un preziosissimo “capitale sociale”?

L’allenatore di rugby di base si occupa certamente, oltre che degli aspetti motori e tecnico-tattici connessi al gioco, anche di quelli relazionali, affettivi e di trasmettere i valori dello sport.

Non sempre, però, la riflessione si pone su elementi legati al funzionamento cognitivo, all’autonomia personale, alla comunicazione, ai fattori che determinano il rendimento scolastico o la futura vita adulta.

Eppure l’allenatore, tramite il rugby, può incidere anche significativamente su queste e altre componenti che caratterizzano ogni bambino o ragazzo.

Le metodologie didattiche più attuali pongono il giocatore al centro del processo di insegnamento-apprendimento, poiché sono incentrate sui bisogni e le caratteristiche dei praticanti.

Questo richiede un approfondimento dei temi educativi e dello sviluppo del giocatore come persona.

Una riflessione accurata e dettagliata su tali questioni appare necessaria affinché gli allenatori, soggetti che insegnano e educano[1], così come la scuola e la famiglia, possano avvalersi di strumenti e metodologie di lavoro utili e adeguati.

Uno degli elementi da considerare, in questo scenario, è il fatto che spesso gli allenatori lavorano con i bambini/ragazzi quantitativamente di più degli insegnanti di certe discipline scolastiche.

L’esempio più eclatante è quello dei ragazzi che frequentano la scuola secondaria, che svolgono sole due ore settimanali di lezione di scienze motorie, ma si allenano al campo magari per tre/sei ore a settimana, più la partita.

Non può essere quindi trascurato il fatto che, anche sul piano dello sviluppo motorio, l’allenatore arrivi spesso ad essere maggiormente influente di un docente di scienze motorie a scuola, almeno quantitativamente.

Sebbene ciò continui a rappresentare una grave carenza nel sistema scolastico italiano, che trascura da decenni l’educazione motoria dimenticando che attraverso essa passa lo sviluppo dell’intera persona (negli aspetti cognitivi, affettivi, relazionali, linguistici, logico-matematici, motori, dell’autonomia e sociali), occorre prendere atto delle evidenze.

In molte realtà rugbistiche italiane (soprattutto in piccole realtà), gli allenatori sono persone di buona volontà e grande passione, molte volte ex giocatori, o genitori di bambini e ragazzi praticanti, persone che nella vita quotidiana svolgono impieghi diversi, che magari hanno poco o nulla a che fare con la formazione dei giovani. Si tratta però di risorse umane preziosissime e irrinunciabili, che letteralmente “tengono in piedi” le società di rugby sul territorio nazionale e che spesso operano in condizioni difficili, insieme a dirigenti, accompagnatori, genitori, formando un vero e proprio “esercito di volontari”.

Queste figure dovrebbero essere adeguatamente sostenute, oltre che sul piano tecnico e metodologico, anche e soprattutto riguardo agli aspetti pedagogici, dato il ruolo rilevante che assumono nello sviluppo di persone in età evolutiva.

L’approccio che propongo in questo blog è basato sull’individuazione e l’analisi di sei aree di funzionamento, che riguardano ogni persona.

Il funzionamento di ogni individuo può essere infatti descritto e analizzato in relazione a diversi aspetti, considerati e definiti come aree.

L’ispirazione di tale visione è di tipo sanitario e scolastico, ma il modello è ben riferibile all’ambito sportivo e rugbistico in particolare.

Le aree di funzionamento, che saranno meglio illustrate e approfondite nei prossimi articoli, sono:

  1. Area cognitiva
  2. Area motoria
  3. Area sociale
  4. Area affettivo-relazionale
  5. Area dell’autonomia
  6. Area della comunicazione

Il tema della formazione integrale (o globale) della persona è generalmente condiviso tra gli educatori/allenatori di rugby, ma il riferimento alla pratica appare spesso abbastanza nebuloso…

Cosa significa, in termini pratici, “promuovere la formazione integrale dell’individuo”?

Su  che cosa bisogna intervenire?

E come?

Quando?

Perché?

Ecco il motivo della definizione esplicita delle aree, che ovviamente non sono compartimenti separati nella persona, poiché le loro caratteristiche interagiscono e si compenetrano, rappresentando le varie “sfaccettature” del funzionamento di ogni individuo, che è un’unità inscindibile.

Personalmente, sono convinta che vi siano già allenatori che intervengono su tali aspetti, magari con differenti livelli di cognizione e con programmazioni più o meno dettagliate, ma ritengo utile estendere la riflessione all’intera comunità del rugby di base.

Ma perché un allenatore dovrebbe essere interessato e interrogarsi su tali concetti?

Semplicemente perché, con maggiore o minore consapevolezza, egli agisce su ognuna delle aree di funzionamento, anche se ciò potrebbe non apparirgli immediatamente possibile o evidente. È opportuno, invece, che ne sia pienamente consapevole.

In un’ipotetica pianificazione annuale, sarebbe opportuno che l’allenatore prevedesse obiettivi di sviluppo relativamente a ciascuna delle aree (…Sì, anche con sole due ore di allenamento a settimana!), confrontandosi, direttamente o indirettamente, con gli altri soggetti educativi coinvolti: famiglia, scuola, Club di appartenenza.

Lo sport è un potente mezzo per agire su molti aspetti negli individui in fase di sviluppo e proporre uno sport come il rugby in età infantile e adolescenziale contribuisce all’evoluzione dei bambini/ragazzi in ognuna delle aree considerate.

L’analisi delle diverse aree consente di osservare e descrivere i vari livelli di sviluppo delle capacità e abilità, di riconoscere le potenzialità e le difficoltà di ogni individuo, di poter effettuare una programmazione adeguata degli obiettivi da conseguire e di poterne successivamente valutare i risultati.

Ogni individuo è frutto dell’interazione tra fattori genetici e ambientali, intendendo con questi ultimi l’ambiente di vita, la cultura, la famiglia, la nutrizione, gli stimoli ricevuti, le esperienze effettuate, l’istruzione, l’accesso alle cure e tutto ciò che può avere un’influenza sullo sviluppo dell’individuo stesso (in ogni area!).

L’interazione tra i due tipi di fattori (genetica+ambiente) incide sull’intero percorso di vita della persona e assume un ruolo particolarmente significativo durante lo sviluppo.

Per ogni area sono dunque individuabili caratteristiche, potenzialità e difficoltà che, in quanto influenzabili dai fattori ambientali (di cui fa parte la pratica sportiva), possono essere modificate e sviluppate con interventi adeguati.

Le conseguenze sull’alto livello sportivo.

Il lavoro su ogni area si rivela proficuo anche ai fini dell’ambito “puramente rugbistico”, influenzando positivamente l’evoluzione del giocatore e la sua carriera sportiva negli anni successivi, eventualmente fino a raggiungere l’alto livello.

I vari ruoli in una squadra di rugby richiedono infatti, oltre alle capacità fisiche, tecniche e tattiche (che rappresentano una base comune imprescindibile), lo sviluppo di molte altre caratteristiche personali, in apparenza non strettamente legate alla prestazione.

Un giocatore di alto livello dovrà infatti dimostrare particolare efficacia anche negli aspetti relativi alle capacità comunicative e relazionali, all’assunzione di responsabilità nelle scelte in campo, alla qualità delle decisioni assunte, alla condotta fuori dal campo; dovrà avere ottime capacità di concentrazione, attenzione, autocontrollo, perseveranza, assertività; dovrà gestire correttamente le proprie emozioni, controllandole senza tentare di sopprimerle e senza divenirne preda; dovrà essere capace di porsi obiettivi ambiziosi e di conseguirli, ma anche di tollerare le frustrazioni e gli insuccessi senza cedere e di imparare dagli errori.

Tutte queste capacità non si generano dal nulla e non possiamo permettere che giungano da esperienze fortuite: in altre parole, vanno previste e programmate, intenzionalmente. Ricordando sempre che, anche qualora l’obiettivo del ragazzo non sia l’alto livello sportivo (come accade in un’altissima percentuale di casi), queste caratteristiche andranno a comporre la personalità e a determinare le scelte e le azioni di futuri cittadini adulti: il capitale sociale di cui parlavo all’inizio.


[1] Nel senso etimologico dei termini: dal latino insignare, imprimere un segno (nella mente dei discenti) e dal latino educere, trarre fuori, sviluppare le potenzialità della persona.